La spesa non vale l'impresa...
- mesposito238
- 10 ago
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Il mio psicoterapeuta sostiene che “scrivere per pubblicare asseconderebbe un, più o meno consapevole, desiderio narcisistico”. L’inciso sulla consapevolezza l’ho aggiunto io per togliere severità al precetto psicoanalitico.
Adesso però la difficoltà è immaginare che quanto stia per scrivere e probabilmente pubblicare, l’incertezza è ricorrente e mai occasionale, “tenda ad un atteggiamento psicologico di chi fa di sé stesso, della propria persona, delle proprie qualità fisiche e intellettuali, il centro esclusivo e preminente del proprio interesse e l’oggetto di una compiaciuta ammirazione, restando più o meno indifferente agli altri...”.
Sulla prima parte della spiegazione che Treccani dà alla parola “narcisismo”, almeno fino al sostantivo “…interesse”, si potrebbe aprire uno approssimativo chiacchiericcio popolare.
Ma è il resto della definizione che si rivelerà in palese contraddizione con l’immagine che consapevolmente darò in pasto soprattutto al sesso “avverso”. Tra le righe vedo già scodinzolare teste femminili affrante, pesantemente rassegnate alla medesima sorte coniugale.
Accade infatti spesso che tante, quasi tutte, si contendano e rivendichino il peggio, senza che alcuna abbia il coraggio di compiacersi e ammettere il meglio.
Accadrà, già lo so, che l’intimo e personale elaborato farà pensare con goliardia al prototipo di uomo un po’ incapace, un po’ impacciato e un tantino inetto e insicuro, copia pressappoco perfetta dell’essere che per sorte e non per scelta le quasi tutte lamenteranno di avere a fianco.
Fatta la doverosa premessa, veniamo ai fatti.
Mia moglie, pur di negare tempo ozioso alle mie ferie, qualche giorno fa, non senza sofferenza, mi ha ceduto la listadellaspesa con undici comandamenti e una sola possibilità all’autodeterminazione.
In verità, di liste per sé stessa vanta di non averne avute mai. Tra gli scaffali dei supermercati si lascia guidare da un istinto a cui non sfugge alcuna offerta del giorno e scadenza fissata a troppi pochi giorni dopo.
Approssimandosi alla cassa lei già sa quanto pagherà, in contanti ovviamente, avendo già stipata ogni moneta prevista dal conio anche per l’esatto resto. Sa esattamente la percentuale di sconto su ogni prodotto riservato a chi ha la famigerata tessera.
E ovviamente lei ha sempre la tessera giusta pur compiacendosi di non averle affatto tutte. Ha contezza anche decimale dei punti raccolti e quelli in imminente accumulo. Guai a chi imbastisca in proposito un proditorio contenzioso.
Sempre lei, sorretta da un’ignota e complessa funzione algebrica con infinite variabili reali, in un batter d’occhio è capace di stabilire quale sarà in uscita la fila più veloce. Dilemma che manco l’intelligenza artificiale è riuscita ancora a dipanare.
Una previsione che mi vede puntualmente perdente. Mai, dico mai, contro ogni legge sulle probabilità, ho azzeccato la fila giusta. Il vantaggio ottimisticamente prefigurato è sempre svanito al passaggio dell’ultimo della fila accanto e che in fila si era messo dieci minuti dopo e alla sua cassa è giunto dieci minuti prima.
Tornando a mia moglie, all’epilogo dello scontrino mai alcuno le ha chiesto se volesse una busta. Perché lei una busta, e non solo una, così come la tessera, ce l’ha già. Sempre.
Quella di tessuto brutta e lisa, ma capiente abbastanza per raccogliere tutto senza rompere nulla e deludere chi avesse osato immaginare che mai ce l’avrebbe potuta fare.
Un’abilità che va contro ogni logica della fisica.
Con la puntualità dello sprovveduto io alla cassa mi affido all’esperienza maliziosa della cassiera che di buste ogni volta me ne rifila almeno un paio in più. Buone per raccogliere a posteriori a casa il caustico disappunto coniugale.
Già sulla strada del ritorno, quando avviso compiaciuto mia moglie di aver provveduto a tutto, lei lascia cadere come una ghigliottina la solita domanda retorica “Visto che la busta ovviamente non l’avevi (neanche un dubbio), quante buste ti hanno dato? (la certezza dell’ovvietà)”.
Non quanto ho speso. Quante buste mi hanno dato…
Il tradizionale ricorso degli eventi è sufficiente a spiegare così la sua sofferenza nell’affidare a me la spesa settimanale, eccezionalmente e perfidamente.
Sulla sacra sindone che l’imprenditrice amanuense mi ha passato come fosse un coltello affilato ha scritto in colonna, da sinistra a destra: la quantità, il prodotto e il prezzo. Tutto corrispondete al volantino consegnatomi enfatizzandone la distinzione e la corrispondenza con listadellaspesa e sul quale ha cerchiato, col solco della rabbia e della sfiducia, il prodotto e il relativo prezzo.
Nulla a caso, ma tutto in offerta. Oltre ogni ragionevole dubbio.
Sulla lista taluni comandamenti sono stati accompagnati da segni sconosciuti all’ortografia contemporanea. Conoscendola immagino avrebbero dovuto mettermi sotto pressione, costringendomi al dubbio e a ricorrere al consueto aiuto a casa per chiarire l’obbrobrio grafologico.
Sulla porta di casa, dopo avermi consegnato la listadellaspesa e il volantino, ma non la famigerata tessera che ho dimenticato sul tavolo, mi ha congedato col più lapidario dei “Mi raccomando!”. Poca speranza, nessuna premura e il punto esclamativo.
Per nulla incoraggiato mi sono avviato al patibolo commerciale, schiacciato da una responsabilità sproporzionata.
E infatti la prima crisi di panico l’ho avuta di fronte alla fila dei carrelli. Con somma indignazione di mia moglie da un po’ ho sposato la filosofia della carta senza più contante. Scelta che si è dimostrata ostile già nel piazzale del supermercato. Rovistando nelle aride tasche anche questa volta ho trovato solo centesimi fuori corso e soprattutto fuori taglia per il carrello.
Il primo quarto d’ora l’ho buttato via alla ricerca accattona di un contenitore a rotelle abbandonato, affrancato dalla catena che viceversa lo avrebbe costretto nell’inespugnabile fila.
Mia moglie non ha bisogno della moneta perché nel portamonete, oltre alle monete che io non ho, ha quel diabolico passepartout di plastica colorata, una sorta di chiave bulgara capace di scardinare nella piena legalità i carrelli di ogni supermercato.
Mi sono sempre chiesto, senza avere il coraggio di chiederlo a lei, quali conoscenze e raccomandazioni avesse per possederne una copia.
All’ingresso del supermercato già in iperventilazione si è spalancata la porta automatica con il solito leggero ritardo premonitore. All’orizzonte si è svelata a perdita di fiato una topografia di corridoi a tema.
Mia moglie avrebbe saputo subito dove andare. Io, invece, ho immaginato me stesso con la stessa sorte del robot aspirapolvere che girando su sé stesso striscia per terra sbattendo da una parte all’altra, e non avendo più dove andare finisce per andare dalla parte sbagliata.
Passato l’infinito attimo di panico ho ritrovato fiato e una concentrazione da finale olimpica. Col battito da cronoscalata del Pordoi ho imboccato con falsa familiarità e con la logica dell’aspirapolvere il primo corridoio a destra. Con l’indice, dall’alto verso il basso, senza mai prendere iniziativa, ho scorso pedissequamente la listadellaspesa.
Fermandomi ad ogni prodotto indicato perché passo e concentrazione specie nei supermercati sono sempre asincroni.
Nulla di quanto indicato sulla listadellaspesa seguiva ovviamente lo stesso ordine nel corridoio.
Solo dopo aver verificato che il prodotto a scaffale corrispondesse anche alla foto sul volantino sono passato al punto successivo, depennando con gli occhi quello precedente.
Senza mai divagare prudentemente dall’ordine consegnato.
Nonostante le trappole grafologiche ordite in ordine sparso ho trovato tutto, anche il parmigiano a tocchetti curiosamente nascosto nei pressi degli assorbenti, contro ogni grammatica alimentare.
Ho terminato la spesa in 47 minuti e una manciata di secondi. Percorso netto per tutti gli undici comandamenti segnati sulla listadellaspesa e contrassegnati sul volantino. Praticamente 4 minuti e 27 al pezzo. Un successo inatteso considerate le premesse e la stima investita. Il tempo è al netto del quarto d’ora passato nella fila che anche questa volta ho cannato clamorosamente.
L’entusiasmo si è, però, presto infranto come da tradizione alla cassa.
“Ha la tessera?”
No!
“Vuole la busta? Bastano cinque?”
Faccia lei. Penso che bastino.
Sono giunto a conclusioni affrettate incalzato dallo scorrere perpetuo del nastro e dal capitombolo finale della merce in rassegna. Ad accelerare lo stato confusionale il bip bip in sottofondo dello scanner agitato dalla sollecita cassiera.
Come sempre, imbambolato dalla prestazione e non sapendo dove guardare, non ho guardato se quanto battuto corrispondesse per prezzo e quantità a quanto effettivamente preso.
Distratto alla resa dei conti mi sono incoraggiato col solito “Tanto poi controllo lo scontrino…”
La cassiera, gradevole come la psoriasi cronica sulle mani, strisciata la carta di credito mi ha rifilato oltre alle due solite buste in più, non uno ma tre scontrini interminabili. Il conto. Lo sconto. L’offerta.
Con un granitico atto di fede ho ripiegato ripetutamente il lenzuolo termico e l’ho infilato in una tasca, chissà quale.
Non per sfuggire alla corte dei conti casalinga, infatti non ho più ritrovato né lo scontrino e neanche la tasca. Sarebbe stato il titolo da esibire con fierezza per legittimare l’impeccabile prestazione. “Ho preso tutto al prezzo giusto”.
La provvidenza non mi ha salvato dall’unico errore fatto e immediatamente svelato con sordida soddisfazione da mia moglie. Al punto 4 della listadellaspesa era segnato un laconico “1 patatine euro 2,49”. Per consolidata cultura mi sono fiondato sulle storiche patatine San Carlo, con prezzo corrispondente al centesimo. Ma mia moglie intendeva, però, le patatine per la friggitrice ad aria “Come da volantino, se soltanto l’avessi visto…”. Nonostante si trattasse di una novità senza precedenti nelle nostre abitudini alimentari, al contrario delle patatine San Carlo, lei comunque a gamba tesa ha fatto a pezzi la mia autostima e il lavoro di mesi dallo psicanalista. Rinfacciandomi anche la famigerata tessera dimenticata a casa.
Nella listadellaspesa la citata possibilità all’autodeterminazione era stata manifestata con una indicazione a piè di pagina “...E ciò che uno desidera”. Punto in chiusura che avrebbe dovuto lasciarmi la possibilità di scegliere liberamente qualsiasi cosa mi potesse piacere. Scelta che ovviamente non ho fatto perché avrei certamente scelto qualcosa stipata da giorni nella credenza e che sarei stato pesantemente redarguito per non aver visto. Come da tradizione.
Mia moglie non mi lascerà, ma ritengo che difficilmente rinnoverà la sua promessa d’amore e il proposito di mandarmi al supermercato.
Tutta colpa della listadellaspesa…!!!
10 agosto 2025
....e ti è andata bene! A me capita,a prescindere da quanto acquistato, l'accusa: ti sei fatto fregare! Triste destino del Maritus commeatus curator!😭