Per il mio bene
- mesposito238
- 25 feb
- Tempo di lettura: 3 min
“Non fatevi i fatti vostri”.
E’ la richiesta disperata con la quale Ema Stokholma ha chiuso “Per il mio bene”.
Un libro che si è rivelato di una bellezza inattesa.
Non sapevo che Ema Stokholma fosse uno pseudonimo. Ammetto adesso senza orgoglio di non sapere che fosse anche la speaker che decine di volte ho intercettato senza grandissimo piacere su Radio 2. E ammetto pure il fastidio di aver sempre percepito smodatamente enfatizzata la pronuncia di una erre così smaccatamente arrotolata. Ho pensato che quella dj, irrimediabilmente coperta da una geografia indiscriminata di tatuaggi, si compiacesse di una dialettica brillante e soprattutto delle sue origini francesi.
Insomma, nel tempo avevo messo in fila un bel campionario di granitici pregiudizi che mi hanno sempre convinto a sintonizzarmi immediatamente su frequenze diverse.
Fortunatamente però, per provvidenziale ignoranza, non ho passato in rassegna i miei pregiudizi scegliendo tra tanti proprio quel libro. Avessi avuto idea, senza neanche passare dalla quarta di copertina, probabilmente avrei portato gli occhi altrove, su un altro autore e un altro titolo, con la stessa velocità con la quale risintonizzavo la radio in macchina al primo strimpellare di quella erre così teatralmente moscia.
E invece il destino mi ha sbattuto sulla faccia un’autobiografia struggente.
Una storia che non immaginavo dietro tutti quei tatuaggi e quella erre disarmonica.
Ema Stokholma racconta un’infanzia tormentata da una madre che l’ha soltanto picchiata e mai abbracciata. Un “mostro” che non ha mai perdonato perché “il perdono non è obbligatorio”.
Umiliata fisicamente e psicologicamente, invitata a gettarsi nel fiume per morire, Ema ha desiderato che quel mostro non vivesse più. Anche altrove, lontano da lei, non ha mai desiderato altro. La fuga da casa a 15 anni, un anno in meno di mia figlia, e una vita randagia, divorando ogni tipo di droga e di cattiva esperienza, l’hanno salvata.
Morwenn, il nome bretone che la mamma mostro le aveva dato alla nascita, in Italia è diventato Ema. Morire per rinascere. Prima fuggitiva, poi modella, ballerina, pittrice, dj, speaker, scrittrice. Ostinatamente viva.
Chiunque avrebbe potuto salvare Morwenn. Una maestra, la compagna di banco, un vicino di casa, il fruttivendolo. Se soltanto non si fosse fatto i fatti propri.
Per campare cent’anni, così come dice il detto popolare, io non voglio voltarmi dall’altra parte. Non voglio rinnegare con la comoda indifferenza l’interesse, l’amore, verso il prossimo.
Accetto consapevolmente il rischio che questo sguardo mai altrove possa rivelarsi faticoso. Che io possa restare solo, tradito da un amore non ricambiato. E’ già successo. Lascerò che succeda ancora.
Ciò che mai vorrò è farmi i fatti miei.
Per farsi i fatti degli altri basta un po’ di umanità. Non serve necessariamente l’amore. Basta fare una domanda in più piuttosto che negare la verità. Il silenzio è la peggiore delle condanne per chi vorrebbe parlare per affrancarsi dal proprio dolore. Il silenzio non mi appartiene. Io so andare solo incontro e non altrove. Senza soffermarmi per scelta, non per incoscienza, sulle conseguenze, i fatti degli altri sono diventati spesso i fatti miei e mi sono ritrovato a combattere battaglie che hanno finito per riguardarmi, ma che non mi appartenevano. La moltitudine non amica di censori, incoraggiata dal senno del poi, mi ha chiesto chi me lo avesse fatto fare. Nessuno. L’ho scelto. Per amore della verità, della giustizia. Per la mia umanità. Una vita che sia giusta piuttosto che comoda.
Mai vorrei che mi passi davanti Morwenn senza che io non mi accorga dei suoi lividi e sappia ascoltare il suo dolore.

25 febbraio 2025
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