Resilienza ad oltranza
- mesposito238
- 28 gen
- Tempo di lettura: 3 min
“Mo sì t’rnat? Ma ci tuà fatt’ fa...?!”. (Adesso sei tornato? Ma chi te lo ha fatto fare...?!)
Sul marciapiede sotto al teatro, aspettando mia figlia al rientro dal suo spensierato sabato sera, non mi ero accorto di avere ancora legata in vita la sciarpa del Bari, ingiallita dal tempo e dalla bile di un altro pareggio che più degli altri sa di sconfitta.
Gli occhi e l’umore sono pesti. La mia giornata è iniziata al buio circa 18 ore e 1300 km prima.
L’avvilente punticino portato a casa, decisamente sproporzionato rispetto all’investimento emotivo e mia moglie direbbe anche economico, mi avevano convinto per ignavia a sfuggire al tradizionale fuoco incrociato dei soliti censori social che si esibiscono con l’entusiasmo e l’empatia dei beccamorti.
Ma lo sguardo e le parole compassionevoli di quel signore qualunque mi hanno sorpreso, facendo facile breccia in una passione che a 50 e rotti anni non ha più alibi e attenuanti.
Si sa, ogni ovvietà, soprattutto se declamata a posteriori da chi lascia sempre agli altri l’onere del fare, diventa verità.
Ma fatevene una ragione voi che dalla vostra poltrona o sul marciapiede amico, vedendo comodamente vivere le vite altrui, pensate di avere il privilegio della saggezza e della ragione. Il tema dell’opportunità o della necessità, nonostante vi sforziate di esprimerlo con sempre più originali declinazioni lessicali e dialettali, non mi riguarda più. Ontologicamente non mi appartiene.
Perché io avrò sempre qualcosa da raccontare. Una gioia o un dolore da condividere. Perché mi spaventa non il fallimento, ma non averci provato. Perché ho il privilegio di chi ha imparato a godersi il viaggio piuttosto che bramare soltanto la meta. Perché sarò sempre felice per la strada fatta. E sarà questa felicità la destinazione che più mi interessa.
Nonostante l’avvilente pareggio che ha dato fiato ai censori con le pantofole ai piedi e il plaid sulle artrosiche ginocchia, sono stato appagato dall’ennesimo viaggio fatto con gli amici, abbracciati nella stessa sciarpa e nell’identico avverso destino. Mi rammarico solo per quelli rimasti a casa, quelli con i quali tra tanti viaggi avrò pochi aneddoti che non potrò spartire. A casa non per scelta, ma per destino. Perché il giorno prima della partita un sms, doloroso come un lutto, ha annunciato che lo sciopero aveva cancellato il treno del giorno dopo e che, senza un ritorno, avremmo potuto chiedere rassegnati il rimborso anche per l’andata.
Il destino che ci avrebbe voluto lasciare tutti a casa, sulle stesse poltrone dei censori del giorno appresso, non sapeva che solo la passione fa di un problema un’opportunità. Infatti dopo un trascurabile attimo di smarrimento, lungo abbastanza per scomodare tutti i santi dai lori scranni celesti, abbiamo deciso di andare a Cesena con la macchina. Mezza Puglia, Molise, Abruzzo, Marche, e un pezzo di Romagna. Andata e ritorno.
“Forza, partiamo dopo. Arriviamo prima. L’inatteso rimborso sarà un pranzo a tavola con tortelli al posto del disorganizzato bivacco colla piadina”. Resilienza al ragù col parmigiano.
La nostra è una passione maledettamente imperfetta. Non siamo mai certi di cosa possa accadere, ma sappiamo che qualcosa certamente accadrà. E se abbiamo fallito è perché ci abbiamo provato. Ma mi piace pensare che chi ci prova sempre non fallisce mai.
Anche noi, innamorati di un amore che sarà imperfetto, ma mai sbagliato.

Bari 28 gennaio 2025
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