Terzo incomodo
- mesposito238
- 18 feb
- Tempo di lettura: 3 min
Si dice che il terzo figlio sia un secondo primo.
Non io. Terzo fin da subito, incomodo forse pure da prima.
Mia madre, nella sua inossidabile sincerità, non ha mai fatto mistero di aver trascorso l’intera gestazione con lo stesso entusiasmo oggi riservato all’avviso di giacenza meschinamente lasciato nella cassetta postale, senza che alcuno abbia mai citofonato.
Otto anni dopo mio fratello e cinque dopo mia sorella sono stato accolto come la busta verde di un atto giudiziario, senza neanche la possibilità di fare ricorso. Con poca curiosità per cosa sarei stato, immagino abbiano vissuto l’attesa chiedendosi quale fosse la loro colpa, oltre a quella di mio padre, e soprattutto che cosa avessero fatto per meritarla...
Pochi giorni fa, assecondando la sua evoluzione ormonale, abbiamo rinnovato l’arredamento della camera di Arianna. Sedici anni dopo il primo outfit in legno massello e acero sbiancato.
Quasi un giorno per montare una moderna e articolata libreria dove i libri troverebbero spazio e sistemazione sia per genere che per autore, forse anche per colore.
Un letto talmente grande che nessun sonno potrebbe mai interamente disfare.
E una scrivania che alletterebbe allo studio anche la famosa tiktoker partenopea che ha trascinato a Roccaraso un’orda di sciagurati seguaci.
Confermato il solo armadio che di stagioni può continuare ad ospitarne generosamente quattro. E se Arianna fosse più ordinata, anche cinque.
Come spesso e per colpa accade abbiamo realizzato un desiderio che nostra figlia non ha neanche avuto il tempo di desiderare. Certamente il mio di desiderio che in giovinezza i libri li ho sempre dovuti sistemare nell’angusto e promiscuo ripostiglio, tra le scarpe, la scala e le scope. Lo zaino, ereditato da chi per quell’ordine e grado c’era già passato, era appeso al muro. Accanto all’ingiallito vocabolario la lucidatrice, motore diesel a trazione manuale, che per casa poteva andare solo avendo cura che insieme non fosse in funzione anche soltanto l’asciugacapelli. Saremmo rimasti al buio oltre che coi capelli bagnati.
Guardando adesso il letto fuori misura, già impacchettato in un piumino della misura giusta, mi chiedo da quale lato andare per baciare più comodamente Arianna, troppo lontana da qualunque lato.
Per tutta la mia infanzia e fin dove è arrivata la mia adolescenza ho condiviso con mio fratello, non per scelta ma per necessità, un divano letto senza alcuna credibile omologazione per dormire.
Al mattino dovevo ripiegare il letto per tre volte su se stesso per ridare vita al divano e trasformare la camera da letto in quello che era accatastato come soggiorno.
Per Arianna abbiamo scelto un materasso memory, linea lattice, ortopedico con molle insacchettate.
Io e mio fratello, di notte come fossimo al fronte, le molle le avevamo insacchettate nella schiena e di ortopedico c’era solo lo specialista che avremmo voluto vedere al nostro tormentato risveglio.
Io, però, un “privilegio” l’avevo. Arianna, per sua scelta, no.
Il televisore in camera, ai piedi di quello strumento di tortura chiamato convenzionalmente divano di giorno e letto di notte. La nostra prima TV era in bianco e nero a tubo catodico, un pesantissimo scatolone grigio appoggiato su un mobile sorretto a fatica dalle rotelle, impossibile da spostare.
Spegnendola, all’ordine materno “E’ ora di dormire! Domani si va a scuola!”, le immagini venivano inghiottite in un ingordo puntino bianco al centro dello schermo.
Dopo un’ora di quella TV anche i sogni erano guastati dall’effetto neve.
L’unica scrivania, in camera di mia sorella, era invece uno scrittoio pesante, senza spazio ma col doppio fondo. Con un libro, un quaderno e il vocabolario non c’era più posto neanche per poggiare i gomiti. Quando le fraterne gerarchie stabilivano che non ci fosse posto per me, ero costretto a riparare sul tavolo della cucina. Il silenzio e la concentrazione erano sfasciati talvolta dalla lucidatrice, sempre dal tintinnio dei piatti e delle pentole armeggiati nel lavello da mia madre.
Altro che la porta sempre chiusa della camera di Arianna. Anche la mia privacy adolescenziale, sconosciuta e mai rivendicata, scompariva nel puntino bianco della pioneristica tv a tubo catodico.
Nella mia memoria queste non erano difficoltà, ma la normalità.
In questa meravigliosa normalità nessuno mi avrebbe potuto amare più di quanto mi abbiano amato mia madre e mio padre. Senza alcuna difficoltà.
Se la leggenda racconta che non mi avrebbero scelto prima, nell’attimo più brutto della loro vita hanno certamente scelto me!
Spero che mia figlia ora sappia tutto ciò che non sa ed impari ad essere una figlia “unica” piuttosto che semplicemente l’unica figlia....

18 febbraio 2025
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